Sab. Apr 12th, 2025

Witold Pilecki nasce in Polonia nel 1901 in una famiglia cattolica, matura uno spiccato spirito di sevizio, di intraprendenza e di tenacia ulteriormente impresso dallo stile acquisito nello scoutismo cattolico polacco.  Divenne ufficiale di cavalleria e membro della resistenza antinazista e, successivamente, antisovietica. Nel 1940 l’intelligence polacca gli affida una rischiosa e delicata missione. Durante un rastrellamento nazista a Varsavia, Witold, confezionata una falsa identità, si fa arrestare volontariamente per essere mandato ad  Auschwitz. Un azzardo folle ma pianificato. Il comando dell’esercito polacco aveva affidato a Witold due compiti, il primo consisteva nel relazionare quanto avveniva nei campi: “più ti attieni ai fatti nudi e crudi senza alcun tipo di commento, più tutto avrà valore” avevano detto i suoi superiori. Un compito di grande importanza, poiché nessuno all’esterno sapeva cosa fossero realmente Auschwitz, Treblinka, Majdanek, Buchenwald, Dachau, nessuno sapeva con esattezza cosa accadesse lì. Il secondo compito consisteva nell’organizzare, nel campo, una rete clandestina di ribelli in modo da attivare una insurrezione interna concomitante ad un attacco esterno dei reparti militari polacchi. Witold strutturerà la resistenza interna come un riparto scout, composto da squadriglie di cinque persone i cui componenti, per comunicare fra loro, si chiamano con un numero. Le squadre non sapevano una dell’altra per ridurre il rischio di essere individuati e riferire, sotto tortura, l’identità dei compagni. Ci fu persino un assistente spirituale, il coraggioso padre 87, Don Zigmunt Ruszczak. Le squadre reclutavano uomini, confortavano i disperati, cercavano di posizionare i più deboli in posti di lavoro meno duri, guadagnavano la fiducia dei kapo per operare con maggiore libertà. Cercavano di fare sopravvivere, in quell’inferno, un po’ di umanità, un po’ di verità, un po’ di speranza. I dirigenti del campo non scopriranno la rete di squadriglie messa su da Witold. Anche se il momento della rivolta non arriverà mai, il gruppo di squadre era strutturato e funzionante in modo così efficace da riuscire a prodigarsi, all’interno del campo, per lenire le indicibili sofferenze di tanti e soccorrere molte necessità, nonostante l’orrore quotidiano e le sofferenze inaudite cui erano sottoposti gli internati, nonostante le morti orribili di donne e bambini. Witold ed i suoi, riusciranno a concepire persino un piano per la conquista dell’armeria delle SS. In quel contesto “uccidere la gente era un’altra cosa: più lo facevi, più la tua reputazione ne guadagnava”, come oggi, maggiore è la fedeltà alla moda corrente, al mainstream, più hai successo e sei accetto a chi comanda. Ad Auschwitz si verificarono diverse fughe, dopo ognuna di esse le SS procedevano alle decimazioni “Una volta fu scelto per caso un giovane detenuto, e a quel punto un vecchio prete si fece avanti e chiese al comandante del campo di prendere lui e di liberare il giovane”. Witold non avrebbe mai saputo di essere stato testimone del sacrificio di San Massimiliano Kolbe.  Le parate punitive di migliaia di internati producevano centinaia di cadaveri e mentre il gelo, le infezioni ed i pidocchi mietevano vittime, Witold racconta che ne 1943 “ci fu un cambiamento nei sistemi di sterminio… migliaia di persone furono uccise ogni giorno col gas e col fenolo; il numero di individui portati quotidianamente alla camera a gas arrivava a 8.000”. Gli appelli e le adunate erano segnate da un gong che un giorno “fu sostituito da una campana appesa tra due pali vicino alla cucina. Era stata portata lì da qualche chiesa, e recava l’iscrizione: Gesù, Maria, Giuseppe. Dopo un po’ la campana si ruppe. I detenuti dicevano che non era riuscita a sopportare le scene del campo. Ne fu portata anche un’altra. Si ruppe anche quella. Al che ne fu portata una terza …. Durò fino alla fine. Quante emozioni poteva suscitare una campana di chiesa! ”. Dopo una tentata rivolta soffocata nel sangue “per limitare la nostra capacità di riunirci e organizzarci, ci furono sottratte altre due ore di tempo libero domenicale” Witold continuerà comunque a tenere uniti le squadre di cinque persone.  Il 27 aprile 1943, dopo tre anni di orrore quotidiano, Witold Pilechki decise di fuggire per continuare la resistenza fuori. La fuga fu rocambolesca ma ebbe successo, insieme a due suoi compagni riacquistò la libertà. Una volta fuori, stese un rapporto definitivo, anche se ne aveva già in inviati altri ai suoi superiori, su ciò che aveva visto e vissuto. La sua narrazione del campo di lavoro-sterminio di Auschwitz, è oggettiva, scevra da sentimentalismi e divagazioni poetiche o letterarie, è il rapporto di un infiltrato ai suoi superiori gerarchici, per questo colpisce forse più di altre testimonianze. L’orrore insito nella narrazione è tale da essere, spesso, per un lettore comune, al limite della sopportazione. C’è chi afferma che “non tutto si può raccontare” bene, Witold lo ha fatto. Dal rapporto emerge un personaggio con una grande fede nel suo compito, un infinito spirito di iniziativa e di adattabilità, la capacità di conservare il senso del servizio e una salda fede cristiana che portano il suo cuore oltre l’ostacolo nonostante viva  l’inferno sulla terra. “Ora vorrei dire cosa ho provato quando sono tornato tra i vivi … A volte era come se mi aggirassi in una grande casa e d’improvviso aprissi la porta di una stanza dove c’erano solo bambini: … Ah, i bambini stanno giocando…”. Quei bambini siamo noi. Witold scrive che Auschwitz è stato il luogo in cui “una forza distruttiva stava chiaramente tentando di cancellare il confine tra falso e vero”, una cancellazione che dalla primavera del 1941 ebbe come sfondo musicale l’orchestra di Auschwitz, dove i bravi musicisti non mancavano. I criminali nazionalsocialisti erano acculturati ed amavano la musica. Non sempre dalla cultura scaturisce la sapienza. Questa forza distruttiva è ancora tra noi, viva, vegeta e operante, è la radice di tutte le violenze, è la menzogna che si fa verità: “ARBEIT MACHT FREI”, il lavoro rende liberi! È scritto all’entrata di Auschwitz:  “Liberi dal campo… dalla coscienza … libera l’anima dal corpo… mandando quel corpo al crematoio…” .  Il Rabbino capo di Polonia, Michael Schudrich, scrive di Witold: “Quando Dio creò l’uomo, intendeva che fossimo tutti come il capitano Witold Pilecki, che Dio lo abbia in gloria. Possa la vita di Witold Pilecki ispirare tutti noi a fare una buona azione in più, di qualunque tipo, ogni giorno nella nostra vita”. Nel 1848 Witold Pilecki fu arrestato dalle autorità comuniste polacche perché membro della resistenza antisovietica. Condannato a morte, dopo un processo-farsa, sarà giustiziato con un colpo alla nuca in una cella della prigione di Varsavia il 25 maggio 1948, il suo corpo fu sepolto in un luogo segreto. Sfuggito alla barbarie nazionalsocialista, cadde vittima di quella comunista.

Paolo Piro

WITOLD PILECKI, Il Volontario di Auschwitz, PickWick, 2021.

Un pensiero su “80 – GIORNATA DELLA MEMORIA. VOLONTARIO AD AUSCHWITZ”

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