Il sottosviluppo demografico è una sfida politica decisiva, difficile e di lungo termine che, spesso, viene collegata con gli effetti sociali ed economici dell’immigrazione. Nonostante il contesto politico complicato, il governo della Meloni regge. Pare che a centro destra abbiano compreso che si può discutere di tutto ma non dell’unità della coalizione che va salvaguardata. E’ un prova di maturità politica, e non è poco. La stabilità non fa bene solo al centro destra ma alla credibilità dell’intero Paese. Non è un caso che dopo la dissennata politica estera dei governi a 5Stelle, la Meloni sia riuscita a restaurare l’immagine dell’Italia nel consesso internazionale degli stati. L’attuale governo sta affrontando dossier scottanti fra i quali “l’immigrazione”. Gestire l’eredità delle politiche “immigrazioniste” italiane non è facile, soprattutto se vuoi cambiare direzione. Dopo i primi incerti passi iniziali, il Presidente del Consiglio ha scelto la via del lungo termine. L’operazione Albania si comprende solo nell’ottica di un cambiamento di approccio politico al problema. Occorre scoraggiare il fenomeno complicandolo, perché in politica, alle volte, la soluzione passa per una complicazione come quella albanese. E’ un accorto cambiamento di rotta apprezzato a livello europeo, che fa i conti con la dimensione epocale del fenomeno esaltato ed incoraggiato dal sinistrismo cattocomunista e da tutti coloro che hanno fatto dell’immigrazione un affare, “con i migranti si guadagna più che con la cocaina” diceva l’intercettato Salvatore Buzzi. Il decisionismo meloniano deve fare i conti con il soccorso rosso di una frangia della magistratura che pare, faccia il gioco di una opposizione che politicamente è alla canna del gas. Purtroppo, simile decisionismo non si avverte sul fronte dell’emergenza demografica. Un problema enorme, forse più di quello migratorio. Negli ultimi decenni del XX secolo era stato lanciato l’allarme “sovrappopolazione” poi rivelatosi un falso ideologico oltre che un crimine, dal momento che promuoveva la diffusione dei contraccettivi, dei preservativi e dell’aborto, una politica sponsorizzata a livello planetario dall’ONU. Non dimentichiamo i prestiti dati ai Paesi del terzo mondo, vincolati all’acquisto di contraccettivi e condoms, la chiamavano lotta all’AIDS e alla sovrappopolazione. La realtà ha sconfitto l’ideologia, il genere umano si incammina verso un periodo di depopolazione. In Europa, gli indici della crisi demografica hanno già superato il punto di non ritorno. Il Financial Times ha pubblicato un’analisi del suo chief data reporter John Burn-Murdoch che, in sintesi, afferma “gli aiuti alle giovani donne, alle future mamme o alle coppie sono una bella cosa in sé, ma non influenzano affatto la decisione di fare figli. L’aspetto economico è irrilevante, in quella decisione”. Non è un caso che la natalità è più elevata nei paesi poveri, smentendo il mito secondo cui è la mancanza di mezzi a scoraggiare lo sviluppo demografico. I nostri nonni erano più poveri di noi ma facevano più figli, peraltro “Dal 1980 al 2019 l’insieme dei paesi ricchi e sviluppati ha triplicato (al netto dell’inflazione, quindi in potere d’acquisto reale) gli aiuti pro capite per la natalità, assegni familiari, asili nido gratuiti, permessi maternità-paternità e altri sussidi pubblici. Nello stesso periodo il numero di nascite è sceso inesorabilmente, in media da 1,85 a 1,52 per ogni donna” in Italia siamo al 1,2, secondi solo al Giappone. Neanche la virtuosa Ungheria che ha varato misure eccellenti per la donna e la famiglia, registra variazioni demografiche degne di nota. Le politiche familiari di destra e sinistra sono fallimentari, non influenzano gli indici di natalità. La Cina ha rimosso la politica del figlio unico e promosso quella dei due e tre figli invano, con risultati scoraggianti. Insomma il problema è culturale e non economico. Una cultura che si nutre di una futurologia apocalittica, di Temptation Island, del Grande Fratello, una società che nutre, tutt’oggi, le sue università con un retaggio culturale sessantottino ancora intento a demolire quel poco che rimane delle radici dell’occidente, non può che formare un uomo e una donna senza speranza nel futuro. Niente Speranza, niente figli, niente fiducia niente futuro. Il baby boom italiano si è verificato in un’Italia in macerie, distrutta dalla seconda guerra mondiale, nella quale di certezze c’è ne erano ben poche, tranne la fiducia nella forza di ricominciare e speranze nel futuro fondate su una precisa identità culturale che dava senso ad ogni cosa, anche al dolore, perché era fatta di croce e resurrezione. L’attuale compagine governativa vorrà tenere conto delle indicazioni che emergono dalle ultime indagini? L’elemento culturale è determinante, occorre promuovere una cultura alternativa a quella progressista degli ultimi trent’anni. In tal senso, purtroppo, le vicende che hanno interessato recentemente il Ministero della Cultura sono un segno molto negativo, così come la nomina di un musulmano alla presidenza della Biennale di Venezia. Ministro e Presidente ostentano posizioni culturali neopagane, legate a personaggi esoterici come Julius Evola e René Guénon che poco hanno a che fare con la storia della cultura italiana e che sono incomprensibili ai più. Questo governo evidenzia indubbi valori, in primis la stessa persona del Presidente del Consiglio, ma al contempo manifesta ambiguità, se non debolezze, culturali. L’egemonia culturale gramsciana non è ancora stata intaccata. Le sfide epocali da affrontare richiedono idee chiare sui fondamentali. Nell’era del caos, un’identità culturale dubbia può determinare risposte politiche inefficaci. Così come in tema migratorio sono richieste politiche di lungo respiro, come quella varata in Albania, la devastante crisi demografica richiede scelte non solo di tipo economico, ma ti respiro culturale ampio che coinvolgano la comunicazione, la TV di stato, i finanziamenti alla cinematografia, la scuola e l’educazione… ma proprio l’identità culturale sembra essere il tallone d’Achille di questo governo.
Società Domani
Una società che non ha tra i suoi principi fondanti la persona umana e che quindi legifera in favore dell’aborto, dell’eutanasia, dello sfascio della famiglia, cellula primaria della società umana, è destinata a morire. Bisogna cambiare il paradigma culturale e ritornare a quello che vide lo sviluppo della societas cristiana, di medievale memoria.