Dom. Dic 22nd, 2024

Nel 1971 venne diffuso il primo rapporto sui “Limiti dello Sviluppo” a cura del Club di Roma, un tink tank che, all’epoca, si assunse il compito di lanciare l’allarme sull’ormai imminente esaurimento delle risorse petrolifere. Benzina e gas sarebbero finite da lì a poco. La generazione del baby boom, ricorda le domeniche a piedi che avrebbero dovuto educare al risparmio energetico. Un allarme apocalittico che imponeva un cambiamento di vita e di economia. I radical chic di quegli anni si strapparono le vesti, il tema “Limiti dello Sviluppo” aveva un fascino indubbio e la condivisione dell’ideologia del “cambiamento di vita” assunse un valore politico che distingueva i beceri dagli intellettuali, chi pensava da chi si adagiava, lo stile di vita dei figli dei fiori sessantottini diventò un’alternativa apprezzabile. La previsione della fine dei carburanti fossili si rivelò totalmente errata ed infondata, come quelle di Malthus e quelle di Marx intorno ai destini dell’umanità, oppure sulle bombe demografiche che in Cina ed India si sono sgonfiate, nonché la fandonia sulla incapacità produttiva dell’agricoltura mondiale di sfamare l’umanità. Nonostante questo, il rapporto del Club di Roma continua ad essere considerato una pietra miliare sulla strada del progressismo umano e della presa di coscienza socio politica. Gli allarmi apocalittici si succedono con regolare puntualità finendo, sempre, con l’essere smentiti dai fatti. Comunque, la potenza della realtà non scoraggia gli adepti della religione delle apocalissi che continuano i loro blocchi stradali, il danneggiamento di monumenti ed opere d’arte famose, le invettive verso gli scienziati non allineati, il tutto per il bene dell’umanità. Oggi l’apocalisse di turno è l’allarme climatico, il dogma da imporre è “l’origine antropica del riscaldamento globale”. L’imputato è l’uomo e la produzione di CO2. Un allarme che diventa religiosamente “dobbiamo salvare il pianeta”, o sarà la fine del mondo. A certificare l’apocalisse non è un guru indiano ma “sarebbe” il consenso del 97% degli scienziati. Ma il 97% di cosa? Nel 2013, John Cook, ricercatore presso il Center for Climate Change del Regno Unito, redige, insieme ad altri ricercatori, un articolo intitolato “Valutazione quantitativa del consenso sul riscaldamento globale antropogenico nella letteratura scientifica”. Lo studio analizza 11.944 articoli scientifici, pubblicati tra il 1991 ed il 2011, che prendono in considerazione il tema climatico. Da un intervento di Franco Battaglia sul quotidiano “LA VERITA’” si apprende che solo il 32,6% di questi scienziati analizzano la possibilità che la causa del riscaldamento globale sia di origine antropica. Nell’ambito di questo 32,6% il 97,1% si dice certo che le attività umane sono la causa del riscaldamento globale. Insomma, meno del 32% del totale di quegli studiosi afferma che il riscaldamento globale ha origine antropica. Ecco sfatata l’affermazione, diffusa in tutti i settori, che il 97% degli scienziati è concorde nell’individuare le attività umane quale causa dei cambiamenti climatici. Diffondere allarmi apocalittici genera insicurezza sociale e trova chi è disposto a tradurre l’allarme in progettualità politiche spesso di grande portata, come il progetto di “transizione ecologica” che sconvolgerà la nostra economia. L’Unione Europea ha sposato la tesi dell’origine antropica lanciandosi in regolamentazioni varie e particolari, l’adblu sui veicoli a diesel, l’aggancio dei turaccioli alle bottigliette di plastica e via dicendo. Persino la CEDU – Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sentenziato su un ricorso presentato da 2.500 nonne del clima, dell’Associazione Klima Seniorinnen (anziane per il clima) che, novelle Grete, hanno fatto causa al governo federale svizzero accusato di essere incapace di evitare “40 anni di danni di catastrofi naturali con conseguenze negative sulla salute dei cittadini”. L’alta Corte ha condannato il governo a 80.000 euro di risarcimento, per non avere protetto le nonne dal cambiamento climatico. Siamo tutti alla mercè dell’estremismo climatico, qualunque comportamento personale o provvedimento legislativo nazionale è soggetto alla narrazione vincente che è diventata un evento “la prossima fine del mondo”. In occidente, le profezie apocalittiche hanno prodotto una nuova religione millenarista, che non ha nulla di comunitario, non ha battesimi o sante liturgie. L’ambientalismo raggiunge tutti nelle minime abitudini domestiche, dall’uso dello sciacquone del water alla bottiglietta di minerale, al riciclo dei abiti usati, nulla e nessuno sfugge e guai agli eretici. Entro il 2050 la UE dovrà avere emissioni di CO2 uguali a zero, per salvare il pianeta. Intanto la Cina continuerà a essere la più grande fonte di CO2 e grazie al millenarismo imperversante a Bruxselles, ci venderà centinaia di milioni di auto elettriche, batterie, pannelli solari e pale eoliche. Saremo finalmente liberi dalla dipendenza del fossile per consegnarci mani a piedi al Celeste Impero.  Ma i cinesi lo sanno, pare che ogni giorno, a scuola, i bambini entrano in classe e gli viene detto “Tu sei cinese e dominerai il mondo!”[1]

Paolo Piro


[1] Fabio Dragoni, Per non morire al verde, Il Timone, 2024.

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