Lun. Dic 23rd, 2024

Una nazione senza cultura è qualcosa di molto triste. Si tratterebbe di una nazione dove la gente non sa cosa difendere, non sa cosa coltivare, non sa cosa trasmettere. Quello della Cancel culture, che demolisce le statue di Cristoforo Colombo, dei Missionari che hanno evangelizzato le Americhe, di ogni Padre fondatore qualsiasi esso sia e qualsiasi cosa egli abbia fondato, e si estende a voler cancellare tutta la cultura occidentale, la metafisica greca, il diritto romano, la cultura cristiana… però è un fatto culturale anch’esso. Per cancellare la cultura bisogna esprimere una cultura. Anche il nichilismo anti-culturale è una cultura. La contraddizione è evidente, ma non sembra che i fautori di questa moda possano avvedersene, dato che anche il principio di non contraddizione, con ogni probabilità, è vittima della loro cancellazione. Se, dunque, anche questa è una cultura, sarà il caso di approfondire la sua natura. Lungo la storia, di “cancellazioni culturali” ce ne sono state tante. Non mi riferisco tanto alla damnatio memoriae che ogni vincitore ha decretato per la cultura dei vinti. Ogni guerra ha prodotto fenomeni di questo genere. Mi riferisco alla volontà di ricominciare “da capo”, tipica di molte culture filosofiche della modernità. Uno dei casi più tipici è stato quello di Cartesio che mette sotto dubbio tutte le conoscenze della cultura di appartenenza, in pratica tutta la cultura occidentale, appunto per ricominciare da zero. Lo stesso faranno gli illuministi e poi i positivisti. Lo stesso impegno è presente nel marxismo. Naturalmente tutti costoro – ed altri che qui non è possibile ricordare – avevano già in mente una nuova cultura quando volevano cancellare la loro cultura. Cartesio voleva una cultura fondata sulla scienza geometrica, l’illuminismo sulla ragione operativa, il positivismo sulla scienza sperimentale e il marxismo sulla prassi. Il nuovo era già presente quando si voleva cancellare l’antico. Questo atteggiamento che privilegia il nuovo sull’antico, che fa coincidere la virtù con l’adesione alle novità storiche e il peccato con la conservazione del passato, è proprio della modernità in quanto tale, anche nella sua versione nichilistica della Cancel culture. Esso può essere chiamato progressismo e la sua parola d’ordine può essere rivoluzione. Progressismo e rivoluzione sono incessanti, perché l’esito di una rivoluzione viene fatalmente distrutto dalla rivoluzione successiva e il progresso di oggi è necessariamente l’antichità di domani. Nulla può essere conservato. A dire il vero, anche qui c’è una contraddizione. Il progresso vuole che tutto cambi, ma non il progresso, che deve rimanere. Il progresso deve conservare il progresso come qualcosa di incontestabile e mai criticabile, mai superabile, mai cancellabile. Lo stesso dicasi della rivoluzione: le rivoluzioni cambiano tutto, ma non la realtà immutabile della rivoluzione, che rimane assoluta. Anche la “cancellazione” deve cancellare tutto, ma la cancellazione deve rimanere un principio assoluto. Si nota allora, nella Cancel culture, assieme alla sua stretta connessione con lo spirito moderno, la compresenza di relativo e assoluto, di cambiamento e di permanenza perché il cambiamento deve essere permanente e il relativo deve essere assoluto. Ora, questo è un carattere tipico della gnosi, per cui la Cancel culture va definita come un fenomeno gnostico. Il disprezzo della realtà e dell’ordine, del creato e delle norme sedimentate nella storia. La valorizzazione della rinascita, di una nuova creazione, di un mondo nuovo, di un uomo nuovo, di una palingenesi. La liberazione dai vincoli della realtà, della verità, del passato, la salvezza come indifferenza al male e come fatto di coscienza. Nella Cancel culture ritroviamo molti aspetti della gnosi eterna. E quindi non possiamo non trovare anche la sua lotta con la fede cristiana, da sempre suo principale nemico, … la  Cancel culture ha preso direttamente di mira questa eredità (cristiana), primo obiettivo della voglia di cancellazione.

Di S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi, Vescovo di Trieste

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